10 – Le prime impressioni su Isla Margarita

di Francesca

Com’era Isla Margarita nei primi anni 60

L’Avenida Santiago Mariño era allora una lunga strada dove esistevano soltanto “El Chipi“, un capanno di vecchie lamiere, unico solitario ristorante della strada, l’Hotel Bellavista ed un negozietto che vendeva carosene per cucine. Al di là di queste tre testimonianze di presenza umana e civiltà, il resto della strada e il resto di Porlamar era dominato dalla foresta.

La prima volta che i miei nonni avevano visitato Isla Margarita, all’inizio degli anni ’60, avevano giurato a loro stessi che non vi sarebbero mai più tornati. L’isola era allora, infatti, molto selvaggia, immersa nella natura ed assolutamente priva di strade, alberghi e comodità. A parte l’incredibile bellezza delle coste e i panorami mozzafiato, sembrava impossibile poterci vivere, se non per i pescatori che abitavano i pueblitos lungo le coste.

Ciò nonostante, negli anni, ci sarebbero tornati diverse volte, incrementando i loro viaggi durante la malattia di mia nonna. Appena arrivati, sull’isola come a Caracas, avevano conosciuto uno Stato depresso, in cui niente si costruiva e si creava. In cui niente si produceva. Arretratissimo nonostante le sue enormi ricchezze e grandissime risorse. Nel Paese non esistevano fonti di lavoro stabili.

la metafisica di Conny Méndez

Nell’ultimo periodo trascorso a Caracas, inoltre,  mia nonna aveva scoperto la figura affascinante e carismatica della scrittrice e compositrice metafisica Conny Méndez, artista a tutto tondo della cultura venezuelana di quegli anni.

Questa donna aveva dedicato gran parte della sua vita allo studio della Metafisica Cristiana e alla composizione di numerose canzoni folk e popolari, ancora oggi molto note. In occasione di una sua conferenza tenutasi in una sala congressi dell’ Hotel Hilton di Caracas alla fine del ’69, alla quale mia nonna aveva partecipato, la Méndez aveva detto: “yo soy venezolana, yo amo mi Pais, yo no quiero a Fidel Castro” (“sono venezuelana, amo il mio paese e non voglio Fidel Castro).

Se si pensa alla terrificante situazione politica che il Venezuela subisce da ormai troppi anni, fino a pochi mesi con Chávez ed oggi con Maduro, queste parole suonano terribilmente profetiche!

Tuttavia, furono proprio queste parole a spingere mia nonna a rimettersi al lavoro per fare del suo Paese un luogo migliore. Si sentiva ormai venezuelana nel midollo e credeva fortemente che il Venezuela meritasse di più, se non altro per il fatto di aver offerto così tanto ad intere famiglie che vi si erano trasferite, cambiando nel profondo le loro vite ed il loro destino. Ho sentito per una vita mia nonna dire: “il Venezuela è una Terra che tanto ci dona e tanto poco ottiene in cambio”. Margarita rappresentava una grandissima avventura e, lo avrete ormai capito, mia nonna Lydia adorava lanciarsi in nuove sfide.

Inizio anni 70

All’ inizio degli anni ’70, oltretutto, le grandi ondate migratorie di europei e i primi turisti arrivati a visitarla, iniziavano ad intuire il suo grandissimo potenziale. La gente che a partire dai primissimi anni ’70 e gli stessi dirigenti locali, rappresentavano un gruppo molto compatto, con un obiettivo comune: convertire l’isola in uno scenario magico e perfetto per il turismo ed il commercio, rendendola internazionale e cosmopolita, sfruttando la sua bellezza e la sua posizione geografica privilegiata, lontana dal pericolo dei cicloni e degli uragani e con il sole tutto l’anno.

Così, nel giro di pochissimi anni, se non mesi, Margarita cambiò faccia, trasformandosi profondamente e diventando uno dei luoghi più mondani, eleganti e frequentati del Paese. Nonostante avessero giurato di non rimettere mai più piede sull’isola, quando mia nonna riuscì a guarire, lei e mio nonno decisero di buttarsi in una nuova avventura, comprando per pochi bolivares alcuni terreni edificabili a Porlamar. Se la missione comune era di trasformare l’isola nel luogo turistico per eccellenza bisognava pensare a creare delle adeguate strutture alberghiere.

Così nacque l’Hotel For You, un albergo con una cinquantina di stanze, all’angolo tra l’Avenida Santiago Mariño e la Calle Patiño. Sulla terrazza dell’hotel venne costruita un’enorme churuata (grande struttura diffusa in Venezuela con tetto conico in foglie di palma, immancabile dovunque per il fatto di essere molto fresca e ventilata), mentre al pian terreno, tutto intorno alla reception, mia nonna aveva tirato su un piccolo centro commerciale omonimo all’albergo, con diversi punti vendita, tra gastronomia e delicatessen importate dall’Italia come da ogni parte del mondo, una gioielleria che inizialmente vendeva collanine d’argento della Unoaerre ma che poco dopo sarebbe diventata la prima distributrice di Rolex e Cartier dell’isola ed un negozio di tessili e biancheria per la casa, importati prevalentemente dagli Stati Uniti.

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