L’arrivo a Isla Margarita a metà anni ’70
Mia madre atterrò sull’ isola una sera di fine giugno, carica di bagagli e con mio fratello di nemmeno sei mesi tra le braccia.
L’isola era profondamente cambiata rispetto a come ricordava di averla vista in occasione di uno dei viaggi fatti con i suoi genitori negli anni precedenti. A Porlamar, al posto della foresta, erano nate moltissime strade asfaltate e piene zeppe di negozi.
L’Avenida Santiago Mariño e la 4 de Mayo erano un susseguirsi affollato di punti vendita, brulicanti di turisti carichi di shopping-bag colorate. Il sole picchiava sul cemento e sulle panchine lungo la strada ed enormi piante di agave cingevano il perimetro della passeggiata pedonale, alternate ad altissime palme. In prossimità dell’ingresso di ogni negozio una nuvola gelida di aria condizionata raffreddava le caviglie ai passanti, regalando loro cinque minuti di ristoro dalle temperature torride del pomeriggio margariteño.
Quelli furono anni meravigliosi, dimostrazione concreta che il sogno collettivo del decennio precedente di trasformare un’isola selvaggia di pescatori nella meta turistica e commerciale più ambita e alla moda del Paese si era realizzato. Furono anni in cui si cenava in eleganti ristoranti sulla spiaggia o sulla terrazza di qualche albergo appena nato, alla luce della luna e di qualche lanterna. In ogni ristorante, più o meno bello, si trovava una discreta carta dei vini e degli champagne, buonissimi cocktail alla frutta, da sorseggiare sulla spiaggia, magari con i piedi accarezzati dal mare, alla luce tenue di fili fluttuanti di lampadine appesi tra un albero e l’altro. Si sorseggiava sempre un daiquiri alla frutta al bancone del ristorante, in attesa che si liberasse il proprio tavolo.
Di sera in giro si vedevano solo signore in abito lungo e per gli uomini era impensabile presentarsi in pantalone corto, senza indossare una camicia o delle scarpe chiuse in qualsiasi locale dell’isola.
Le note di Frank Sinatra ed Ella Fitzgerald in ogni locale
Erano anni in cui, in ogni ristorante vi era un pianoforte a coda ed un cantante pronto a intonare un pezzo di Frank Sinatra, Ella Fitzgerald o Nat King Cole.
Alla Media Naranja (letteralmente mezza arancia), l’enorme negozio di abbigliamento della famiglia Elia, chiamato così proprio perché era un’enorme mezza sfera arancione, si veniva accolti sempre e comunque con un flûte di champagne anche se non si acquistava niente.
Come appariva Isla Margarita in quegli anni
L’isola, che era ed è tutt’oggi porto franco, offriva davvero ogni confort e divertimento e si presentava come un vero e proprio paradiso per il turista, con i suoi mille negozi, le liquorerie, i bodegon specializzati in delicatessen di importazione, i negozi di alta moda italiana, gli alberghi, le numerose discoteche ed i vari locali notturni. Vi erano già allora locali gay, dimostrazione di una mentalità indubbiamente più evoluta e aperta di quella europea degli stessi anni.Mia madre era arrivata quindi, triste e sconsolata, in un luogo che aveva tutte le carte in regola per restituirle il sorriso e che, da lì a poco, glielo avrebbe obbiettivamente ridato.Andò ad abitare con mio fratello in un appartamento attiguo a quello dei miei nonni al primo piano dell’hotel For You ed iniziò a lavorare nella gioielleria dell’albergo, occupandosi anche degli acquisti degli altri punti vendita sul fronte italiano e statunitense.
Mi viene da sorridere se penso che, esattamente trent’anni dopo, nello stesso stato confusionale ed emotivo (ma per fortuna senza figli), sono stata io a rifugiarmi sull’isola con lo stesso bisogno di girare pagina. Quell’isola ha un potere terapeutico infinito e riesce a coccolare e risanare l’anima alle donne della mia famiglia. Ma questa forse è un’altra storia. Tornando a qualche anno prima, a metà degli anni ’70, Porlamar appariva il paese dei balocchi. Fuori da Porlamar, però, l’isola era rimasta selvaggia ed invariata nella sua bellezza. La natura continuava ad imperare, le strade sterrate e tortuose conducevano alle spiagge più belle della costa, allora ancora quasi sconosciute e certamente non ancora dotate di servizi. Margarita era, e per fortuna rimane, bellissima. Un’isola a forma di infinito, o di otto rovesciato.
Una farfalla con un’ala lievemente più grande dell’altra, in grado di ricordarmi sempre che è possibile prendere e volare via dalle situazioni che non sanno più renderci felici.