Testo integrale dell’intervista a Leopoldo Lopez

di Odilia


TESTO INTEGRALE DELL’INTERVISTA ESCLUSIVA DI EFE CON LEOPOLDO LOPEZ

17 Febbraio 2017
Articolo di Javier Garcia (EFE)
Tradotto da Odilia Quattrini

Il dirigente oppositore venezuelano, Leopoldo López, ha concesso un’intervista in esclusiva a Efe dalla prigione militare di Ramo Verde alla vigilia del compimento, domani sabato, del terzo anniversario della sua prigionia.
Queste sono le domande e le sue risposte complete.

D. Come si sente dopo tre anni nel carcere? È stato più duro di quanto immaginava?

R. Tre anni fa abbiamo alzato la nostra voce per spogliare un regime che oltre ad essere corrotto e inefficiente, è diventato una dittatura. Questa lotta non è una lotta dentro all’ambito democratico, è una lotta di fronte a una dittatura e per tanto, di resistenza democratica.
Consapevole di questo, mi sono preparato in corpo, anima e mente per affrontare nel tempo e nelle condizioni che siano necessarie. O ci sottomettiamo, o lottiamo per la nostra libertà e noi resisteremo, continueremo a lottare e trionferemo.
Pur quanto ho trascorso più della metà del tempo in condizioni dure d’isolamento, m’ispiro sempre in qualcosa che una volta disse Nelson Mandela: non c’è maggior difensore dei diritti umani, che coloro ai quali sono stati violati i loro propri diritti. Essere prigioniero mi ha avvicinato in carne propria alla scomposizione della giustizia venezuelana che patiscono migliaia di venezuelani. La manipolazione, il ritardo processuale, la corruzione dei giudici, la manipolazione politica di giudici e procuratori nella loro condizione di provvisori, che li rende dipendenti, vulnerabili, servitori di un sistema e non della giustizia, rappresentano per me molto più di cifre e diagnostici, rappresentano una vivenza che mi obbliga ad avere una responsabilità morale e patriottica per cambiarlo.

D. Può narrare in dettaglio com’è la sua situazione proprio ora nella prigione? Le sue condizioni carcerarie e la sua vita quotidiana.

R. Mi domandi sulla vita quotidiana qui. Ce ne sono due. Una per il resto del penitenziario e un’altra per me. A Ramo Verde tutti i prigionieri hanno accesso durante tutto il giorno alle aree comuni, al campo sportivo e alla biblioteca. Inoltre, non hanno nessun impedimento per muoversi nei diversi piani, recarsi nelle celle di altri prigionieri e, molto importante, sono liberi di poter parlare e condividere con il resto della popolazione penale.
La situazione per me è diversa. Molto diversa. Sono isolato in un altro edificio, una torre di 4 piani dove mi trovo nell’ultima cella, condizione questa alla quale sono esposti solitamente coloro che sono sottoposti a castigo per ragioni disciplinari. Così è stato fin dall’inizio senza ragione alcuna. Il carcere militare nel quale mi trovo è situato a 45 km da Caracas, per cui s’impiega fra una o due ore, dipendendo dal traffico, per venire a farmi visita, cosa che soltanto possono fare i miei avvocati e i miei familiari diretti, dato che ho vietate le visite aperte. Tutte le conversazioni sono ascoltate e registrate, comprese le conversazioni con gli avvocati, violando quel diritto fondamentale. Le carte della difesa sono revisionate e addirittura, confiscate. Al momento di scrivere questa risposta, ho trascorso due mesi senza essere stato portato giù nel campo sportivo e senza poter assistere a messa.
Per questo, da quando sono arrivato a Ramo Verde ho capito che il mio principale terreno di lotta era nel mio stato d’animo e nella mia mente. Per tanto, ho disegnato una routine che mi permettesse di approfittare ogni giorno e fare di ogni giorno un’opportunità per crescere, un’opportunità per essere più forte, più sereno.
Trovarsi in confinamento in solitaria, in isolamento, è una prova di un individuo con se stesso. Trascorrere tutto un giorno, una settimana, un mese, due mesi, cinque mesi, da solo con se stesso, è una sfida alla stabilità mentale ed emotiva di qualsiasi persona. È stato qui, nell’isolamento che ho trovato il pieno senso alla massima greca “Corpo sano, mente sana”. Ho aggiunto l’anima, lo spirito. Tre dimensioni che posso fortificare. Ed è stato l’isolamento ciò che mi ha portato a dedicare tempo a ciascuna di queste cose. Ed è stato così che ho disegnato una routine di preghiera, lettura ed esercizio che mi permettesse di allineare e fortificare il corpo, la mente e l’anima. La procedura del pensiero per tutti gli esseri umani è una conversazione con se stesso, ma è una conversazione che in condizioni normale suole non essere percepita, passa a un secondo piano quando interagiamo con altre persone. Invece, quando si è isolato, in solitaria, quella procedura di conversare con se stessi rimane più in risalto e presente.
Ad esempio, prima di essere prigioniero pregavo tutti i giorni, andavo a messa e avevo una buona relazione con Dio, nella mia fede cattolica. Ma è stato qui dove ho trovato il vero senso della preghiera. Prima semplicemente pregavo un padrenostro, un’avemaria e alcune petizioni e buoni auspici corrispondenti alle inquietudini della mia giornata. Da quando sono qui è diverso. Ho approfondito il senso della preghiera, pregare qui non è un esercizio dominato dalla consuetudine, recitare le preghiere imparate da bambino in un momento del giorno, qui pregare è una conversazione intima con Gesù. E quella preghiera è stata uno dei pilastri fondamentali della mia forza nel carcere. È a partire dalla preghiera che ho potuto costruire tutto il resto.
In modo che, nel possibile, me sono imposto di essere il più disciplinato possibile con questa routine e lo sono stato, nonostante il piano (n.d.t.: dei carcerieri) sia di tirarmi fuori da questa in ogni momento, per cercare di piegarmi. Non ci riusciranno.

D. Qual è stata la situazione che si è verificata fra lei e Diosdado Cabello il 18 febbraio del 2014? Fino a che punto dietro all’azione di costituirsi alle autorità c’è stata una negoziazione con il Governo? Cabello lo accompagnò in carcere?

R. In nessun punto ci fu accordo dietro all’atto di costituirmi. Non c’era niente da accordare. La notte di domenica 16 febbraio del 2014, due giorni prima di costituirmi, irruppero a casa mia e a casa dei miei genitori dove si trovavano i miei due figli e Lilian, mia moglie. Quel giorno si presentò Diosdado Cabello davanti alla mia famiglia, e arrivò con un piano che posso solo qualificare da vigliacco. Quel piano non era altro che approfittarsi dei timori della mia famiglia sulla situazione nella quale mi trovavo, per manipolarla e così convincerla del fatto che la cosa migliore era che me ne andassi dal paese e che addirittura, se io accettavo la sua offerta, lui “gentilmente” avrebbe potuto aiutare nelle gestioni necessarie a tale fine, ma la mia famiglia sapeva a priori quale fosse la mia decisione e poterono lasciare molto in chiaro a Cabello che io non me ne sarei mai andato dal Venezuela. Addirittura, davanti all’insistenza di Lilian sul fatto che mi stavano perseguitando ingiustamente, Cabello riconobbe davanti ai miei genitori, che io ero innocente e che questa era solo una misura politica.
Davanti al rifiuto di uscire dal paese, Cabello propose una seconda possibilità: che io chiedessi asilo e mi rinchiudessi in qualche ambasciata, chiarendo anche che era qualcosa in cui lui era disposto ad “aiutare” facendo le gestioni necessarie. La risposta fu la stessa: No. La notte di martedì 18, Maduro e Cabello, vedendo che non erano riusciti a farmene andare dal paese e nemmeno di farmi rinchiudere in una ambasciata, e mancando già poche ore per la mia presentazione (n.d.t.: davanti alle autorità), decisero di aumentare il livello di pressione sulla mia famiglia. Tornò di nuovo a casa dei miei genitori e in quell’occasione la proposta fu un’altra, la più vigliacca di tutte. Diceva di avere informazione che testimoniava che pretendevano assassinarmi se mi fossi presentato in pubblico: “la destra fascista lo vuole uccidere e anche i collettivi, ed è molto difficile controllare questi ultimi”. A oggi, Cabello non ha presentato nemmeno una sola prova, semplicemente perché non esistono. Ma in ogni caso, io avevo già preso la decisione che ancora oggi sostengo essere quella corretta: non me ne andrei mai dal Venezuela ed ero disposto ad affrontare in tutti i terreni, in tutti, e specialmente nel terreno morale, la dittatura. La clandestinità e l’esilio non erano possibili perché in quel modo io sarei rimasto prigioniero della mia anima.

D. Quando si è costituito pensava che la sua reclusione sarebbe durata tanto?

R. Con molta sincerità ti dico che al momento di prendere la decisione di costituirmi e dare la faccia non mi sono prefissato tempi. Non potevo farlo. Alzare la nostra voce per spogliare un regime che oltre a corrotto e inefficiente, era diventata una dittatura e convinto che un c’era bisogno di reagire, che bisognava svegliare le coscienze e che dovevamo iniziare una lotta per un cambiamento, sapevo che questo poteva impiegare tempo.
Se qualche abilità psicologica si può sviluppare in carcere, è la capacità di stare in pace con te stesso e riconoscere la forza maggiore che dobbiamo dominare per mantenere la stabilità emotiva: il tempo. Il tempo è un nemico inesauribile. Giorni che diventano settimane, settimane che diventano mesi e mesi che diventano anni. Il tempo o lo dominiamo o ci domina. Per questo non mi sono prefissato tempo, so che uscirò in libertà a lottare a braccio teso per la libertà e la democrazia in Venezuela. Per far uscire tante gente buona dal ciclo perverso della povertà dove è stata rinchiusa dal regime di Maduro, e questo può bastare. So che uscirò in libertà, non ho dubbi di questo e che quando lo farò, sarò più forte d’anima, mente e corpo.
Ho trovato nelle testimonianze di vita di molti uomini e donne che hanno sofferto il carcere per i loro ideali come Mandela, Gandhi, Luther King, la forza per sapere che questa esperienza per quanto dura essa sia, mi aiuterà a essere una persona migliore, un leader migliore, un venezuelano migliore. Un leader deve essere capace d’ispirare a coloro che come lui, perseguono un sogno. Perché con le dure circostanze che vive il popolo venezuelano, ho capito che i calcoli politici erano di troppo e che dovevo assumere un rischio a beneficio della libertà del Venezuela.

D. Ha avuto lei qualche responsabilità nella violenza che si scatenò nelle proteste del 2014?

R. Ovviamente no. I venezuelani e la comunità internazionale hanno molto chiaro da dove proviene la violenza nel nostro paese e di chi generò la violenza usando gruppi e collettivi armati protetti dallo stato. La propaganda della dittatura ha cercato di far vedere, senza successo, che è colpevole chi esercita un diritto alla protesta e innocente chi lo trasgredisce.
Il diritto alla protesta pacifica è un diritto che stabilisce la nostra costituzione nazionale. Per il contrario, ciò che invece vieta espressamente la nostra costituzione, è l’esistenza di gruppi e collettivi armati. Tutti hanno visto come questi collettivi entravano nelle case dei venezuelani, protetti dalle forze militari e di polizia dello Stato.
Ciò che proibisce espressamente la Costituzione è l’uso di armi da fuoco per controllare manifestazioni pubbliche. Su questo particolare: chi è l’autore materiale dell’omicidio di Bassil da Costa? Un funzionario del SEBIN (n.d.t.: la polizia politica) che sparò contro una manifestazione. Dov’è la scorta del ministro Rodrìguez Torres, che anche lui sparò contro la manifestazione?
Un’altra cosa che vieta la nostra Costituzione sono i trattamenti crudeli e le torture. Su questo: dove sono i responsabili delle torture inflitte agli studenti?
Rispondendo a queste domande troveremo i colpevoli e i responsabili di tante morti e tragedie.
D. L’opposizione si pone ora come priorità, quella di ottenere che ci siano elezioni regionali e locali quest’anno. È d’accordo con quella strategia o lei sarebbe dell’idea che la priorità sia un’altra? Quali sarebbero, a parer suo, i principali passi che dovrebbe fare l’opposizione nella situazione attuale?

R. Dopo il sequestro del referendum revocatorio mediante un imbroglio istituzionale, capeggiato da Nicolàs Maduro, che ha occasionato la sospensione indefinita del diritto al voto popolare, violando il sacro articolo 5 della Costituzione, ho inviato una lettera all’Unità democratica dove proponevo che prima di finalizzare il 2016, si svolgesse un dibattito ampio e si approvasse una linea d’azione unitaria per riprendere la rotta e riorganizzare e ampliare l’Unità, con il proposito di raggiungere l’obiettivo che ci unisce: ottenere un cambiamento politico, uscire dalla crisi e conquistare la democrazia mediante l’esercizio della sovranità e il voto popolare.
Quella procedura di revisione che deve svolgere la MUD, a mio criterio, deve andare oltre a una semplice ristrutturazione. Non si tratta soltanto di revisionare strutture, procedure, funzioni e persone. L’obiettivo centrale della revisione deve essere di ampliare l’orizzonte dell’Unità, per quello ho proposto che doveva passarsi da il Tavolo dell’Unità Democratica, al Movimento di Unità Democratica. All’Unità di partiti devono unirsi con una sola strategia e proposito, diversi rappresentanti della società. La MUD fu un’alleanza di partiti che ottenne un grande successo davanti alle congiunture elettorali e oggi, che ci piaccia o no, siamo entrati in una fase diversa, in una fase di resistenza.
Oggi è stata chiusa la via elettorale da parte della dittatura e per questi tempi si richiede di riguardare la lotta e si richiede un’unità più ampia, non per incapacità dei partiti, ma perché la responsabilità di lottare contro l’oppressione è di tutta la società, non soltanto dei partiti politici.
Ho insistito anche perché, una volta allargata l’Unità verso un grande Movimento di Unità Nazionale, deve discutersi una visione cara su verso dove andiamo e assumere i rischi per arrivare lì. Il cambiamento è urgente e deve essere il nostro unico compromesso e agenda. Sarebbe un errore e si deve avere cura di non proporre le elezioni regionali come la grande promessa di cambiamento per i venezuelani. Alle elezioni regionali ci dobbiamo andare, sì. Dobbiamo vincere, sì, ma quella non può essere la priorità dell’agenda del cambiamento. La priorità è quella di cambiare il sistema. A coloro che aspirano legittimamente, io dico: soltanto cambiando il sistema dittatoriale, i governatori e i sindaci potranno compiere gli impegni con il nostro popolo in modo soddisfacente. Ma se questo fosse poco, oggi non sono in programma quelle lezioni. La dittatura non le vuole svolgere.
D. Crede che si può ottenere qualcosa attraverso il dialogo con il governo? Può servire almeno per la messa in libertà di oppositori o per la creazione di un canale che permetta l’entrata di alimenti e medicinali?

R. In Venezuela non è mai stato proposto un vero dialogo. Quando la dittatura propose di riunirsi, Voluntad Popular (n.d.t.: il partito fondato da Leopoldo Lòpez) fissò una posizione molto chiara e ferma di non assistere. Quel “dialogo” pretese di basarsi su condizioni inaccettabili, in un ambito di maggior repressione (oggi ci sono più prigionieri politici) e dopo avere strappato al popolo il diritto costituzionale al voto mediante il sequestro del referendum revocatorio.

Si possono sempre ottenere cose attraverso il dialogo. L’errore non è dialogare, al quale come democratici siamo sempre stati aperti; è farlo senza condizioni. È farlo abbandonando l’agenda con la quale ci siamo impegnati davanti al nostro popolo che consiste nel recupero della democrazia. È farlo abbandonando la mobilitazione popolare contro la dittatura.

D. Se uscisse in libertà, concorrerebbe per essere il prossimo candidato della MUD alla presidenza?
R. Insisto, in Venezuela una dittatura ha rubato ai venezuelani l’esercizio del voto popolare. Ha proibito illegalmente e incostituzionalmente il revocatorio, non ha celebrato elezioni di governatori che dovevano essere svolte nel 2016 e non c’è nessun panorama di celebrarle entro il 2017. In questo contesto, possiamo pensare a elezioni presidenziali? Ne prigioniero, né in libertà si può competere in elezioni che non sono fattibili.
Dobbiamo pensare e il focus deve collocarsi su ottenere il cambiamento politico, uscire dalla crisi e conquistare la libertà e la democrazia, perché precisamente il popolo venezuelano possa di nuovo decidere il suo destino e i propri governanti attraverso l’esercizio della sovranità e il voto popolare. Quella è la dimensione della nostra lotta.

D. Che valore da all’appoggio internazionale che ha ricevuto la sua causa e l’appoggio della Spagna?
R. Sono stato dichiarato Prigioniero di Coscienza da Amnesty International. Gli organismi più riconosciuti in materia di difesa dei Diritti Umani del mondo, presidenti, primi ministri, Governi, Parlamenti, leader mondiali, premi nobel, intellettuali e artisti del mondo intero si sono pronunciati a favore non solo della mia liberazione immediata, ma anche, cosa che è ancor più importante,contro le violazioni dei Diritti Umani della dittatura che si è stabilita nel mio paese.
Il Gruppo di Lavori di Detenzioni Arbitrarie dell’ONU ha deciso che dovevo essere liberato immediatamente; l’Alto Commissionato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha ratificato la risoluzione del Gruppo di Lavoro di Detenzioni Arbitrarie; il Comitato per le Torture del Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, organismo convenzionale, ha anche esortato allo Stato venezuelano la mia immediata liberazione e inoltre rivendica il diritto alla manifestazione pacifica che abbiamo tutti i venezuelani.
Tutti questi organismi e persone hanno patrocinato la mia libertà perché sanno che sono innocente. Se non lo fossi, come dice il Governo, non si sarebbero pronunciati a favore della nostra causa.
In quanto all’appoggio della Spagna, non posso che ringraziare profondamente per il supporto che ho ricevuto da quel paese. Ha accolto mio padre, costretto all’esilio da questa dittatura. La nostra causa è stata appoggiata senza condizionamenti ideologici o partitici, perché è una causa giusta, la causa dei diritti umani. Il Governo del Presidente Rajoy fu il primo Governo nel mondo a ricevere Lilian, mia moglie e a pronunciarsi a favore del nostro caso.
Altrettanto il presidente Aznar che si è pronunciato attivamente per la nostra libertà e il presidente Felipe Gonzàlez si è coinvolto tanto nella lotta per la democrazia e il rispetto dei diritti umani nel nostro paese, che ci insignì dell’onore di formare parte della nostra difesa. Allo stesso modo devo ringraziare ad Albert Rivera di Ciudadanos, chi con impegno ha visitato il Venezuela e ha preteso la nostra libertà e il ritorno della democrazia in Venezuela.

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