La tecnologie e la tradizione sono color miele
L’estremo oriente ha sempre affascinato l’occidente per le sue leggende e le sue tradizioni, l’arte e i costumi, il cibo, i colori e tutto quello che avvolge l’ignoto, il nuovo e il diverso da noi.
Prima di tutto il Giappone con le sue leggendarie storie sui Samurai e le Geishe, poi con i suoi Manga arrivati in occidente e con i suoi film d’animazione.
Al contrario, la Corea del sud, timidamente, ha conquistato l’occidente attraverso la tecnologia di Samsung e tenendo con il fiato sospeso il mondo con la sua storia dividendo il suo territorio in due parti.
La corea del sud è sempre stato un paese timido, talmente timido che l’occidente conosce molto poco della sua tradizione e della sua cultura.
Appena si arriva a Seoul si respira subito aria di Futuro tra i suoi grattacieli e i mall che fa di Seul una città tecnologia.
La tecnologia fa parte della vita quotidiana di ogni sud coreano e oramai l’uso della mail e di Facebook è diventato obsoleto. I giornali sono diventati oramai cosa rara, talmente rara che non si riescono a trovare edicolanti nella città: si può leggere il giornale in metropolitana con il proprio cellulare come connettersi per fare la spesa, per guardare la tv e parlare con i propri amici…. à
Con un semplice “click” in Corea si può ottenere tutto ciò che si vuole e questo affascina tutti gli occidentali che devono ancora imparare a fare una prenotazione on line per ottenere un biglietto aereo.
Ma come il tradizionale e secolare kimchi è sempre presente nella tavola di ogni famiglia coreana anche la cultura tradizionale e secolare coreana è presente ed è forte in ogni famiglia.
La società coreana è piena di contraddizioni.
I ragazzi coreani vanno a scuola con la divisa e la disciplina è fondamentale: devono studiare duramente per entrare all’università perché senza laurea in corea non si avrà successo. C’è un detto in coreano: “Se Steve Jobs fosse nato in Corea del Sud oggi non ci sarebbe la Apple”, ciò vuol dire che se i ragazzi non si laureano non avranno un futuro.
Il rispetto per la famiglia è davvero importante, esistono forme formali con cui rivolgersi ai propri nonni, ai propri genitori e ai propri fratelli maggiori. La casa e la famiglia per i coreani sono davvero importanti. Difficilmente i coreani portano a casa la propria fidanzata prima del matrimonio. Parlare anche di sessualità in famiglia è tabu’. Anche a scuola non viene data ai ragazzi nessuna educazione al sesso e neanche tra amici se ne parla. Eunji – una mia amica coreana che ha vissuto in Italia per molto tempo – mi ha detto : “ L’atro giorno sono andata a cena con le mie amiche coreane, sai loro non sono mai state all’estero, ma sono miei amiche da sempre e mi sono sentita libera di fare un commento sul sesso… mi hanno guardata malissimo e mi hanno anche rimproverata, mi sono sentita così in imbarazzo eppure in Italia, con le mie amiche, sono libera di parlare di ciò che voglio”.
Così è molto facile che alla prima esperienza sessuale le ragazze rimangano incinta, ma il loro destino in su Corea sarà per sempre segnato poiché esse si porteranno sempre uno stigma.
Essere single mum in Corea non è affatto una piccola cosa.
Le ragazze che scoprono di essere rimaste incinta prima del matrimonio sono sollecitate dai propri genitori e dagli amici a portare a termine la gravidanza di nascosto, per poi dare in adozione il proprio figlio, l’aborto in Corea del Sud è illegale.
Viceversa, le donne che decidono di tenersi il bambino subiscono discriminazione e vengono insultate dalla gente per strada e dai propri parenti fino ad essere costrette a lasciare la casa ed il lavoro.
Così è capitato a Kim che scoprì di essere rimasta incinta al quinto mese di gravidanza.
“non sapevo che fare e la prima cosa che mi è venuta in mente è di fare subito ricorso alla chirurgia, ma l’aborto in Corea del Sud è illegale e al quinto mese non si può più abortire perché è troppo pericoloso, così ho pensato di portare a termine la gravidanza e poi di lasciare il mio bambino in qualche orfanotrofio affinchè potesse essere adottato e trovare una buona famiglia.”
Ma per farlo Kim avrebbe dovuto nascondere la sua gravidanza ai vicini e alla gente per paura di quello che avrebbero detto di lei e di essere emarginata totalmente dalla società. Kim prese appuntamento presso la Holt Children Services per capire la procedura di abbandono. Dopo l’appuntamento con la Holt, Kim si portò a casa i moduli per lasciare al famoso orfanotrofio americano il suo bambino. Kim era devastata dalla consapevolezza che l’unica soluzione fosse l’abbandono, cosa che divenne quasi una tortura mentale. Non era facile per lei abituarsi all’idea di abbandonare il proprio bambino. Poi un giorno, navigando in internet legge un articolo che parla di un film realizzato da un coreano adottato in belgio : “il colore della pelle: miele”.
Kim arriva a procurarselo e la sera stessa lo guarda. Giunta alla fine, decide di riguardarlo una seconda volta, poi una terza, poi una quarta fino ad arrivare a dieci. “Il film mi ha provocato un vero schock elettrico, e quella sera stessa ho deciso di non abbandonare più il mio bambino”.
“ho lasciato il lavoro, la famiglia e ho incominciato a vivere da sola. Non facevo niente tutto il giorno: guardavo la TV e leggevo. Uscivo di casa solo per andare a fare la spesa e per evitare di incontrare qualche vicino di casa prendevo le scale di sicurezze e non l’ascensore ; ed io abito al quindicesimo piano. Ma ogni giorno pensavo anche al mio futuro e a quello del mio bambino. Come avrebbe potuto vivere con me? Io che avevo questa colpa di essere rimasta incinta prima del matrimonio cosa avrei potuto dargli? Poi ho pensato che l’amore di sua madre gli sarebbe bastato e che avremmo trovato insieme una soluzione”.
Ancora oggi Kim quando esce di casa con il bambino deve prendere le scale per non farsi vedere dai suoi vicini di casa perché ha paura di essere insultata e soprattutto teme che la gente possa insultare anche il suo bambino.
“Mi sento estremamente orgoglioso che il mio film abbia toccato così profondamente l’anima di una persona tanto da farle cambiare la vita.” Mi disse Jung durante uno delle nostre cene in Corea.
Coleur de peau: miel è un film autobiografico che parla inevitabilmente di adozione ma che vuole sottolineare l’importanza della ricerca di se stessi e della propria identità come in quella caverna platonica in cui la ricerca è sempre in fase di sviluppo. Inoltre il film vuole essere un omaggio a tutte le mamme, alla loro forza e il coraggio. Un inno a tutte le mamme adottive e biologiche che amano i propri figli, al loro saper esserci.
Jung con il suo lungometraggio non solo parla del suo percorso di riconciliazione ma da un appuntamento alla storia coreana spiegando il fenomeno dell‘ adozione internazionale in Corea, dove 250 mila bambini in 20 anni sono stati mandati in adozione in 16 paesi diversi colpevoli di essere figli di ragazze madri.
“Il film ha una grande carica emotiva ed è un film per tutti, la sua universalità deve toccare il cuore di tutti”.