Quinta Manila, la casa di Prados del Este
Subito dopo il terremoto del ’67, i miei nonni avevano comprato quinta Manila nella zona di Prados del Este, una grande casa coloniale in stile spagnolo, anni luce dall’essenzialità di Waikiki. Quinta Manila è la sola casa di Caracas che io abbia mai visto con i miei occhi e non soltanto in fotografia e la sola nella quale io abbia trascorso molti momenti della mia infanzia e della mia giovinezza.
E’ una casa che amo molto, forse proprio perché mi ricorda anni spensierati e momenti divertenti trascorsi tra quelle mura, fino a nemmeno tanti anni fa. Se chiedeste a mia madre impressioni su quinta Manila sono certa che vi direbbe cose atroci.
Lei, così amante delle linee e degli arredi essenziali, l’ha sempre trovata estremamente kitsch (come darle torto) e così lontana nel gusto dalla sua prediletta Waikiki, ma anche nel suo essere indubbiamente un pò “museo degli orrori” io l’ho sempre trovata favolosa.
Diciamo che Quinta Manila, con le travi di legno a soffitto, le felci in giardino tra un banano e l’altro, il cotto ed il marmo brasiliano nelle zone comuni, i salotti carichi di vasi antichi, statuette d’avorio e i numerosi oggetti d’arredo accumulati negli anni, i tappeti persiani, i lampadari di cristallo a goccia e soprattutto la moquette, è una chiara testimonianza che in mia nonna fosse riaffiorata una grande voglia di Europa e di freddo. Se chiudo gli occhi e ripenso a quella casa mi rivedo seduta in giardino, sulle sedie bianche in ferro battuto, avvolta dal caldo umido della sera caraqueña e dal suono dolce e ritmato di milioni di minuscole ranocchiette che dal tramonto all’alba hanno accompagnato ogni mia notte trascorsa a Caracas.
Rivedo la grandissima cucina, le colazioni americane con grossi vassoi di donuts colorati, caraffe di spremuta di arancia e pile di pancakes ricoperte di sciroppo d’acero. Rivedo lo studio di mia nonna con la grande scrivania in cuoio e mi sembra di vederla ora, di fronte a me, minuscola e ricurva su se stessa ad esaminare e firmare pile di documenti con l’immancabile penna appesa al collo. Alle sue spalle enormi manuali di letteratura italiana e latina, di storia e l’intera Opera Omnia di Mussolini, accanto ad una foto in bianco e nero del Duce a cavallo (…punti di vista..lei lo trovava persino bello!).
Grandi ed affollati quadri alle pareti, file di cuscini turchesi abbinati in modo improbabile con divani palladiani dalle gambe curve a zampa di leone e candele rosa shocking su candelabri antichi. Mi sembra di sentire lo scricchiolio della grande scala in legno ed il suono dei maestosi galli in ferro battuto appesi alle finestre, che risuonano e tintinnano ad ogni soffio di vento.
Rivivo la sensazione data dal caldo sulle gambe che provocava sedersi sul grande e peloso divano ghepardato, rotondo (e su ruote!) del salotto al piano superiore della casa.Le finestre con le sbarre panciute in stile Moresco affacciate sulla strada e sul giardino pieno di pavoni dei vicini di casa, il mobile bar anni ’60 con dentro liquori e alcolici senza ombra di dubbio degli stessi anni ed il bagno con i grossi oblò nella doccia.
Ma la cosa indubbiamente più “bella” di quella casa era e resta la camera da letto di mia madre.
Non potrò infatti mai dimenticare quella stanza enorme, l’inquietante letto in legno scuro con alte e orrende colonne agli angoli che ricordavano i ceri agli angoli dei letti delle vecchie camere mortuarie. In ogni caso, la vera chicca di quella stanza è sempre stata la moquette blu elettrico alta 10/12 cm in cui facilmente si potevano mimetizzare cucarachas, animaletti tropicali vari e intere congregazioni di acari. Ricordo con il sorriso sulle labbra mio padre e mia madre camminarvici sopra sempre schifati e in punta di piedi. Purtroppo di moquette a mia nonna doveva essergliene avanzata parecchia già che la stessa freschissima peluria riappare ancora oggi anche nel bagno annesso alla stanza, reinventata come tappetino della doccia, del wc e, mio dio, come copri asse del water!!!
Camera di mia nonna e di mia zia, invece, erano decisamente più sobrie, con una moquette chiara e rasata e arredi meno arabeggianti.
La cosa che ricordo di più della camera di mia nonna era l’enorme specchiera ricoperta di profumi e cosmetici che occupava una grande stanza intermedia tra il bagno e la camera da letto. Ci passavo un sacco di tempo da bambina, a giocare tra nuvole di cipria e a provare le mille sfumature di rosso dei suoi rossetti. Mi sembra quasi di risentire sulle labbra quel sapore e quel profumo così caratteristico che avevano i rossetti di quegli anni. Mi sono sempre domandata cosa abbiano cambiato nella loro composizione nel tempo, già che non mi è più capitato di risentire quel sapore. La stanza di mia nonna, come ogni suo oggetto, profumava di mughetto del sempre presente profumo Diorissimo che annunciava e testimoniava sempre il suo passaggio.
Pochi anni dopo mia nonna avrebbe scoperto di avere dei noduli alle corde vocali e le sarebbe stato consigliato di allentare un po’ con il lavoro e di cambiare clima, magari trascorrendo fisicamente qualche mese al mare. Così, con l’occasione, i miei nonni avrebbero programmato un viaggio nella vicina Isla Margarita, completamente ignari di cosa il destino avesse ancora in serbo per loro.