La MUD esce dall’armadio

di Odilia

Di Luís Marín
Tradotto da Odilia Quattrini

L’unico risultato tangibile del così chiamato “dialogo” di giovedì scorso è il decreto che contempla: “Ecco qui l’opposizione”, l’unica che gode del riconoscimento ufficiale.

Le parti che si legittimano reciprocamente come rappresentanti delle due metà di un paese illusorio nel quale gli altri, che non sono loro, semplicemente non esistono.

Ovviamente risulta agghiacciante vedere tutti quei dinosauri politici che offrono terreno al regime mentre lo tolgono alla protesta di strada, snobbando addirittura coloro che furono i loro antichi compagni dell’unità che devono provare più che vertigini, vedendo quel mercantilismo in prospettiva, dal quale non possono aspettare altro che morte, carcere o esilio.

Da molto tempo tutto questo era parte della realtà, ma in ogni caso, risulta sempre un po’ avvilente confermare un sospetto di tradimento, guardando in faccia ciò che prima si poteva scartare come pettegolezzo o storiella di corridoio.

Fino a ieri, era una calunnia dire che la MUD (partito che teoricamente raggruppa tutte le forze di opposizione) negoziasse con il governo, che entrasse dalla porta di servizio di Miraflores tra i galli a mezzanotte, erano malizie dei sorveglianti che riconoscevano alcuni dei furtivi visitatori notturni; ma oggi entrano dalla porta grande, davanti agli occhi del pubblico, in catena nazionale.

Questo paese deve essere messo molto male, si vocifera, se il dialogo fra i politici è un po’ strano, persino malvisto.
Ora (bisogna riconoscerlo) il gioco è più aperto, forse spudorato.

Ramón Guillermo Aveledo fu denunciato per svolgere affari negli USA per evitare sanzioni contro membri della nomenclatura, perché questo poteva irritarli e complicare il dialogo;
Omar Barboza, segnalato da Eric Ekvall come parte del problema elettorale, gli disse: “tu sei partecipe della frode”.
Julio Borges, fu a sua volta accusato da Patricia Poleo di tradire i militare adesso perseguitati, ma si tratta di denunce senza risposta, che leggono in pochi e nessuno commenta.

Sarebbe estremamente arduo e quasi interminabile passare rivista ai loro interventi, che sono facilmente reperibili da chiunque ne mostri interesse, basta dire che questo deve essere l’unico caso nella storia dell’umanità nel quale una fazione politica si siede a negoziare con i rappresentanti di una forza di occupazione le posizioni di una terza parte che è stata ripudiata previamente.

Precisamente questo ripudio è la credenziale per poter essere accettato come interlocutore privilegiato.

La priorità dei cubani è quella di riappacificare il paese, e che cessino le proteste di strada; l’offerta della MUD è invece quella di voler mettere tutto il suo impegno e le sue risorse per ottenerlo, ma, a cambio di che cosa?
Che cosa ricevono oltre al riconoscimento ufficiale?

I quattro punti della MUD sono fuochi d’artificio per le gallerie:
legge di amnistia, disarmo dei collettivi,  commissione della verità senza che sia caduta la dittatura nè cessata l’occupazione.
Ovviamente, niente di tutto ciò si compirà; ma c’è anche il rinnovo dei poteri pubblici e qui sì che c’è qualcosa di sostanziale: già tutti hanno i propri candidati a magistrati, direttivi del CNE (Consiglio Nazionale Elettorale), controllore, procuratore, eccetera.

Se sono così sinceri, perché non ci dicono chi sono i candidati?

ABAJO CADENAS (Cadano le catene)

Ramón Guillermo Aveledo chiede libertà di espressione, condanna la censura e autocensura, ma lo fa IN CATENA NAZIONALE, senza nemmeno accorgersi del controsenso.

Questo rende evidente che ci siano cose che la MUD non può ottenere, nemmeno mettendoci tutte le proprie risorse ed il proprio impegno, come dare legittimità alle catene.

Queste continuano ad essere un sopruso insostenibile e una violazione dei diritti umani di massa, anche se tutti si presentano in esse per convalidarle.

Il principio è che le persone siano libere e godano uguali in diritti e possiedano una dignità individuale che le accrediti di un certo rispetto, soprattutto da parte delle autorità pubbliche.

Ora bene, come possono rendersi compatibili questi valori con l’esistenza di un meccanismo che li nega fragorosamente?

Perché non soltanto si tratta di parlare, ma piuttosto si obbligano gli altri a tacere.

Non si tratta soltanto del diritto di avere informazione reale e opportuna, ma bensì che le persone che da una parte hanno diritto e scegliere quello che vogliono e che dall’altra non possono essere obbligate a vedere e sentire ciò che non vogliono, senza che questo implichi un oltraggio alla sua dignità personale.

Non è per quel che si dice, perché in Venezuela si fanno catene per trasmettere lotte di galli, ma per quello che si impedisce di dire.

Una catena accompagnò l’applicazione del Piano Avila e da lì ogni volta che si scatena un’onda di feroce repressione, il regime fa una catena per imbavagliare i mezzi; ogni volta che ci sono aspettative per una dichiarazione cruciale, ecco lì una catena per bloccarla.
E fermiamoci qui.

Le catene sono incomprensibili all’estero, nessuno capisce cosa sia questo, perché non esistono in nessuna società aperta dove i cittadini si fanno rispettare; anche se forse c’è qualcosa di simile nei paesi comunisti che rimangono, anche se non si notano perché vivono in una catena perpetua.

E questo è il corollario: le catene sono un saggio del paradiso concentrazionista del socialismo sovietico, la voce universale del Grande Fratello.

NOZIONE DEL FALLIMENTO

Il regime non accetta che si dica che segue un modello FALLITO; RR lo considera assolutamente di successo. Come non potrebbe considerarlo un successo per lui, quando ha collocato la sua famiglia nell’elite delle più milionarie del mondo?

Non può dire qualcosa del genere Aristóbulo Istùriz, un soggetto che dice “plesbiscito” e diventa ministro d’educazione, quando in un paese civile non sarebbe diventato più che un portinaio e qui è stato inoltre, costituente, deputato, sindaco, governatore e oggi è un magnate con una curva di ingressi famigliari che non starebbe dentro ad un grafico normale.

Tutto questo senza smettere di usare politicamente la falsa lamentela del fatto che viene discriminato per essere nero.

Ma lo tradisce il suo inconscio alludendo ossessivamente ai cecchini con fucili di mira telescopica: saranno fucili Dragunov? Saranno quelli che sparano mirati colpi alla testa?

O sarà una reminiscenza dell’11 aprile, i cecchini del Ministero di Educazione, dell’Hotel Eden e del Comune di Caracas? Vuole sentire la verità? Bene, Simonovis è in galera per coprire Freddy Bernal e allo stesso Aristóbulo Istùriz che furono i carnefici dell’11 aprile.

Sarebbe arduo passare al setaccio ciascuno degli intervenuti del regime, ma basti dire che questi soggetti hanno realizzato il sogno di ogni risentito: vendicarsi di quelli che sanno essere migliori di loro.

Hanno espropriato, diffamato, umiliato e cacciato dal paese persone perfettamente onorevoli, solo per saziare una sete di vendetta che non può estinguersi perché l’hanno incorporata nella propria psicologia del risentito patologico.

Per parlare di fallimento, non serve nemmeno l’argomento che hanno distrutto l’apparato produttivo nazionale, ridotto a metà il parco industriale, rovinato imprese e attività commerciali, devastato milioni di ettari per tanti anni produttivi, perché proprio quello è ciò che volevano fare.

In quest’ottica, nemmeno si può dire con proprietà che il comunismo sovietico sia fallito, salvo che si prenda sul serio la sua propaganda di emancipazione del proletariato o costruzione di una società alternativa al capitalismo di mercato.

La verità è che le mafie che dominano la Russia si sono formate durante il regime comunista e sono i più milionari del mondo, come già compaiono molti nella Cina comunista, e nemmeno a quelli si può di certo dire che sono falliti.

Lo stesso Vladimir Putin, un balordo sbirro del KGB è padrone della Russia, ha collocato ciascuno dei suoi antichi seguaci in una governazione e usa le sue tattiche da gangster per schiacciare e rubare i paesi vicini con procedure tipiche della malavita, mentre nega ciò che fa nello stesso momento in cui lo fa.

Hugo Chàvez fece lo stesso, collocando ciascuno dei suoi seguaci golpisti in una governazione di stato, esattamente come i “bandolieri delle Montaneras” (della storia argentina) del secolo XIX si spartivano poderi fra i propri luogotenenti.

Così, le mafie del futuro, che emergeranno dalle rovine del comunismo castrista si stanno formando ora. Sono quelle che hanno dato mano ai ventimila milioni di dollari persi a CADIVI, secondo il monaco Giordani, oltre a quelli che si perdono ogni giorno in navi cariche di combustibile che solcano il mar dei Caraibi, fra paradisi fiscali, mercati terziari e stati improbabili.

Non esiste immaginazione per calcolare quello che ha rubato la nomenklatura chavista, nemmeno per quello che si portano via i cubani, boliviani, ecuatoriani, nicaraguensi, argentini, brasiliani e i nuovi amici colombiani che hanno abbandonato i principi di Uribe e si sono incorporati al saccheggio insaziabile di questo povero paese ricco.

Quindi, per parlare di fallimento, ci si dovrà sempre chiedere prima: Fallimento di chi? Fallimento in che cosa?

È il tipico caso dei facoltosi amministratori di imprese fatte fallire da loro stessi.

DOMANDE PER IL DIALOGO.

Chi ha ordinato di sparare alla testa dei manifestanti?
È evidente che se fra i 41 morti, quasi la metà lo sono con azzeccati spari alla testa, non può essere un caso ma bensì ciò che i sociologi amano chiamare una dimostrazione significativa. O non è così?

In un paese dove un comitato centrale militare decide assolutamente tutto, che ha convertito i cosiddetti poteri pubblici in meri altoparlanti, scatole di risonanza delle sue decisioni, qualcuno deve aver proposto e loro approvato la politica del terrore.

Ma, qual è la dottrina?
Quanti manifestanti hanno stimato che devono ammazzare per schiacciare le proteste?
Quanti famigliari, amici, vicini si devono assassinare, sequestrare e torturare per intimorire la popolazione e paralizzarla per il terrore?

Questa è un’altra delle cose che la MUD non può risolvere. La protesta non si fermerà, per questo dicono che il dialogo deve farsi in parallelo con la protesta, perchè anche se non la promuovono, loro non possono nemmeno impedirla del tutto e non vogliono essere cacciati da Miraflores per non compiere la sua parte di accordo. Le proteste continueranno e con esse, la repressione rispettiva, la violenza è il contesto del dialogo.

Il problema è che vengono promossi dalla condizione di complici a quella di coautori dei crimini di lesa umanità, oppure è possibile coabitare con un regime criminale senza convertirsi loro stessi in criminali?

Nessuno che inizi a lavorare per la famiglia Castro si aspetta di avere niente a che fare con fosse comuni, pozzi della morte, muri da fucilazione, celle buie, tormenti disumani, spionaggio, delazione, intimidazione; ma quasi senza accorgersene, queste cose arrivano e s’installano nelle loro vite quotidiane perché sono parte del sistema, il suo lato sordido e inconfessabile ma necessario, la garanzia dell’uniformità e unanimità esterna, la tanto agognata pax socialista.

L’unità del paese sotto il totalitarismo presuppone l’esilio della quarta parte della popolazione, chiamatela “squallidi” (termino spregiativo usato dal regime per definire gli oppositori), borghesi, o vermi. E non può essere diversamente.

I fratelli Castro sono i grandi assenti del dialogo, ma sicuramente lo seguono da dietro le quinte senza perdere dettaglio.

Fino ad ora, la MUD si è limitata a parlare con i pagliacci, ma non ha ancora incontrato i padroni del circo.

Forse allora si capiranno i motivi della paura che ispira, non Castro, ma la MUD. 

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