Di:ISABELLA MECARELLI
Grazie a Trump la dittatura di Maduro in Venezuela e la libertà dei popoli al centro della politica mondiale
La crisi venezuelana è balzata recentemente alla ribalta nel panorama politico mondiale.
Il silenzio e l’indifferenza hanno pesato per lunghi anni, durante i quali solo poche notizie trapelavano e comunque venivano somministrate col contagocce o filtrate con cura dalla stampa internazionale.
Ma ora pare cominciata, e si spera continui, una nuova era: finalmente un risveglio dell’attenzione per quella nazione sofferente da tempo, in balia di un regime giunto al potere in modo fraudolento (spiegherò sotto il perché) e che nel corso del tempo ha proceduto verso una crudelizzazione del sistema, grazie anche all’appoggio di dittature amiche come Cuba.
Da sottolineare che tale evoluzione è stata soprattutto favorita dalla non ingerenza sia degli organismi internazionali sia dei singoli governi, in primis quello italiano, che non ha saputo o voluto cogliere fin dagli albori del processo il grido di dolore, l’allarme lanciato dai nostri connazionali trapiantati in quel paese che ha accolto ed ospita gli emigranti italiani da più di mezzo secolo.
E’ di pochi giorni fa un messaggio su Twitter, in cui il presidente Trump chiede “il pieno ripristino della democrazia e delle libertà politiche in Venezuela”.
Nel suo incontro con i rappresentanti degli stati dell’America Latina, che ha preceduto il suo primo intervento all’Assemblea generale dell’Onu, ha auspicato la restaurazione della democrazia e delle libertà politiche in quel paese, nei confronti del quale gli Usa hanno già preso provvedimenti imponendo sanzioni contro il governo Maduro, che ha ridotto uno degli stati più ricchi e civili dell’America latina alla fame.
Ma l’attenzione del presidente USA verso questa nazione, trascurata e praticamente dimenticata dalla precedente amministrazione Obama, va al di là del caso specifico, perché pare avere anche una valenza esemplare. E questo si capisce se si collega a un passaggio del discorso tenuto all’Assemblea dell’Onu, quello relativo all’auspicio che siano i popoli a decidere del proprio governo, ai fini del loro benessere, affinché non sussistano regimi dispotici che soffochino le libertà e i diritti umani dei propri cittadini.
Questa affermazione, che subito le sinistre hanno interpretato come frutto di mentalità populista, preferirei al contrario valutarla come indice di spirito democratico, come invito a non consentire che governi tirannici continuino a imperversare in tanti angoli della terra, soffocando le economie, l’istruzione, la libertà dei popoli.
Il Venezuela di oggi si pone come caso emblematico di un regime giunto al potere apparentemente con la legalità, ossia con le elezioni, poi via via degenerato fino a portare la nazione alla catastrofe: la promessa fatta di migliorare le sorti del paese, sconfiggendo la povertà dei ceti bassi della popolazione, si è tramutata, grazie a riforme basate sull’ideologia chavista, frutto del pensiero del presidente Hugo Chávez (un mix micidiale di marxismo, peronismo, terzomondismo) nella distruzione del lavoro: l’affossamento delle classi media e alta, che ormai non esistono quasi più, non ha fatto altro che aumentare il numero dei poveri.
Insomma, tanti buoni propositi spazzati via da risultati pessimi.
Come ha sostenuto Moisés Naím, ex ministro dell’Industria e del Commercio: “Il Venezuela è ricchissimo, ha le riserve petrolifere più grandi del mondo. Il governo però non sa come gestire l’economia e lo ha portato alla catastrofe.”
Chi ha vissuto in quel paese decenni fa, come la sottoscritta, se tornasse ora, non lo riconoscerebbe, tanto è mutato: questo appare evidente dagli appelli dei venezuelani al resto del mondo, con cui essi cercano di sensibilizzare sui disastri del regime di Chavez, cui ha fatto seguito, addirittura aumentando i danni, quello odierno di Maduro.
Le testimonianze raccontano situazioni inimmaginabili in una terra un tempo fornita di tutto e di più: nei negozi manca il latte; i magazzini sono vuoti anche dei beni di prima necessità, dalla carta igienica alla farina, alle uova. Farmacie ed ospedali risultano privi di medicine.
L’approvvigionamento ha assunto i caratteri tipici di ogni regime comunista che si rispetti: code chilometriche, oltretutto presidiate da poliziotti per sedare le proteste, si snodano davanti ai negozi e con ogni tempo, sotto la pioggia o sotto il sole cocente dei tropici.
E tutto questo non può neanche essere oggetto di protesta, perché il regime ha messo il bavaglio all’opposizione, utilizzando i metodi repressivi consueti di ogni regime comunista classico: carcere per i dissidenti, chiusura di giornali, rapimenti di persone scomode, ecc…
Dulcis in fundo (per il dittatore, ovvio) la decisione di Maduro di insediare la nuova Costituente, ignorando ogni appello affinché fosse salvaguardata almeno la costituzione venezuelana, fossero indette libere e regolari elezioni e rilasciati i prigionieri politici, per porre così fine alla ormai troppo prolungata violazione dei diritti umani.