Milano, 11 aprile 2020
Diabete mellito di tipo 1: giorno 8 (il primo a casa).
Finalmente ieri pomeriggio la buona notizia: le dimissioni.
Abbiamo vissuto gli ultimi istanti in ospedale nel panico perché non saremmo potute andare via senza avere la certezza di avere tutti i presidi a disposizione.
L’ASL, nonostante tutto quello che si dice, nel giro di due giorni ha preparato e mandato a Gigi, telematicamente, tutta la documentazione necessaria per registrare correttamente Vittoria come paziente insulino-dipendente e ci ha permesso di uscire dall’ospedale senza ulteriore attesa.
Alcuni malati cronici, infatti, non possono essere dimessi prima che siano state assicurate e organizzate dall’Asl di residenza le cure domiciliari.
E così, che gioia, trascorreremo insieme Pasqua.
Giuro che poi la smetterò di annoiarvi ma ora mi sento di aggiornare quanti di voi non mi hanno mai lasciato la mano e continuano a tenermela stretta.
Tornare a casa è stato bellissimo ma anche cosí strano.
Sembrano passati mesi, non giorni.
Assorbita del tutto da quello che ci è successo avevo dimenticato che, fuori da quella stanza d’ospedale, il mondo fosse fermo.
Ho molto pensato, in quei giorni, a quanto, in barba alle critiche, la nostra sanità sia eccellente.
Sarà che hanno salvato (di nuovo) la vita a mia figlia, sarà che hanno saputo gestire in modo pazzesco una (e tante altre) emergenze nell’emergenza, ma io sono molto impressionata da quanto lavorino medici, infermieri e tutto il personale sanitario anche e soprattutto in questo momento storico così particolare e difficile.
In questi giorni così sospesi, che non dimenticherò mai, ho imparato a sorridere e a captare sorrisi negli occhi delle poche persone che ho incontrato, su visi coperti da mascherine e carezze nelle loro mani fasciate dai guanti.
Ho sentito comprensione, empatia, amore, abbracci senza sfiorare nessuno.
Qui e sui social grazie a voi, prima di tutto.
E poi in ospedale, grazie ai bravissimi professionisti incontrati che si sono presi cura di Vittoria.
Ho fatto amicizia con le signore che venivano a pulire la stanza, scambiando ogni volta qualche parola e con le infermiere.
E non ho perso mezza occasione per dir loro grazie per il grande impegno.
Volevo dirtelo anche se lo sapete già.
Mentre noi ci lamentiamo di stare in casa c’è un mondo fatto di mamme, papà, figli, che non smettono di lavorare, che non si mettono al sicuro e non restano a casa con le loro famiglie solo per aiutare chi come noi può avere bisogno del loro aiuto.
Sono molto stanca e non è arrivato ancora il momento di riposare.
Fino a quando non arriverà il sensore (ai tempi del covid lo spediranno a casa spiegandoci in videocall come installarlo su Vittoria) le sveglie notturne continueranno e al momento, essendo io comprensibilmente più rodata di Gigi, che comunque si sveglia e mi aiuta, fino ad allora resteranno principalmente tre: mezzanotte, tre e sei del mattino.
Svegliarsi ogni due ore e bucarle il ditino accartoccia lo stomaco e non rilassa, ma lei ormai se lo fa fare senza più svegliarsi e questo ci fa capire quanto i bimbi si adattino velocemente a tutto.
Per il resto riabbracciarci è stato bellissimo.
Quando sono arrivata li ho trovati tutti giù per il comitato d’accoglienza, incluso Rocco, il nostro adorabile custode, che si è commosso.
Quindi questo significa che, nel mentre, Gigi si era riuscito a slegare.
Ha già ripreso un kg (Vittoria, Gigi qualcuno di più) anche se ne mancano altri 3 per raggiungere di nuovo la sorella e non ballare più nei vestiti, è stanca ma ha già cambiato faccia.
Inizio a familiarizzare con l’odore di insulina che resta sulle mie mani e sulla sua pelle e ho gestito meglio di quanto non credessi (capendoli) i valori della glicemia anche senza infermiere accanto.
La nostra cucina è tappezzata di fogli, istruzioni e tabelle, che non vedo l’ora spariscano, perché vorrà dire che il diabete sarà entrato nella nostra routine.
Un ripiano del frigo è pieno di penne insuliniche e il gluCAGONE (il farmaco salvavita, ormai idolo) è accanto a uova e dado vegetale con la speranza di non doverlo mai toccare e di lasciarlo scadere come gli yogurt che mi ha fatto trovare Gigi.
Anche le piante sul balcone sono completamente andate, nessuno le ha bagnate per una settimana (…).
Ho deciso che romperò le palle a tutti d’ora in poi e che racconterò la nostra storia a quante più persone perché succeda sempre meno frequentemente a un genitore di arrivare troppo tardi a scoprire una malattia del genere nel proprio bambino.
Anche un dolore deve diventare un’occasione e un’esperienza per aiutare gli altri, se possiamo.
Mi sono dilungata come sempre, ma ormai questo è un diario quotidiano.
Un abbraccio forte ad ognuno di voi.
Francesca Guatteri