Immagine: Gioia Giunchi
Ero solita, quando vivevo in Corea, di domenica, di andare alla Holt Children Services –orfanotrofio coreano- per giocare con i bambini ospiti del centro.
Feci amicizia subito con la psicologa dell’istituto, una ragazza molto carina che ha studiato psicologia negli Stati Uniti.
Siamo uscite molte volte insieme a cena e ci siamo trovate anche su molti punti di vista, divertendoci molto insieme.
Nonostante, ora, si sia molto distanti, io in Italia e lei in Corea, riusciamo a sentirci quasi quotidianamente: sono quelle amicizie magiche che rimarranno per tutta la vita.
Ricordo che, ogni volta che vedevo Gyung Hee, era sempre accompagnata da un bambino del centro dal nome di Han-Ul.
Han-Ul era sempre, costantemente, in braccio a Gyung Hee, e mi guardava con quei grandi occhi incassati.
Quando rideva aveva delle fossette uniche nelle sue guance tonde e paffute.
Gyung Hee mi raccontò che quando aveva incontrato per la prima volta questo bambino se ne era innamorata subito, al punto tale da non poter fare a meno di andare a trovarlo tutte le mattine appena arrivava al lavoro.
Infatti, il secondo giorno di lavoro di Gyung Hee alla Holt Children Services, dopo averlo incontrato il giorno precedente, era subito andata a fargli visita, ma non è stato facile per lei instaurare immediatamente un rapporto di amicizia, perché Han-Ul è affetto da una grave forma di autismo.
Per diverse settimane, allora, lei tornò a trovarlo tutti i giorni cercando di farci amicizia, portandogli pensierini, caramelle e dolci.
Sfortunatamente, però, tutto questo non ha funzionato affatto, perché a lui piaceva solamente giocare con un tappo di bottiglia.
La verità è che Han- Ul vedeva Gyung Hee come un adulto, quindi come qualcuno di poco interessante ed invisibile ai suoi occhi.
Un giorno Gyung Hee incontrò la logopedista di Han – Ul che le disse che il bambino aveva incominciato a dire KatakKatakKatak in modo continuativo, senza mai una pausa.
Anche se non era ancora un linguaggio verbale, Gyung Hee capì che fosse un modo per esprimersi e che bisognava incoraggiarlo in questo.
Continuò ad andare a trovarlo ma con insuccesso, finché, un giorno, Gyung Hee, ricordandosi le parole della logopedista, decise di avvicinarsi e di parlare nella sua lingua.
“katakatakkatak”- pronunciò rivolgendosi ad Han-Ul, che smise di giocare improvvisamente, incominciando a fissarla e a riponderle 5 volte più veloce di lei “katakatakatak”.
Quello è stato per Gyung Hee il momento più emozionante che andava a significare l’inizio della loro amicizia.
Dopo poco Gyung Hee decise di portarlo a casa ogni tanto la domenica per passare qualche ora con la sua famiglia.
Han- Ul ha incominciato ad emettere dei suoni diversi, ad imparare nuovi suoni, ad aiutare la mamma di Gyung Hee a pulire i piselli e a suonare il pianoforte con le sue mani grandi e paffute.
La cosa più sorprendente è che ha incominciato ad amare a giocare con ogni membro della famiglia di Gyung Hee, mantenendo il contatto visivo, ridendo ed interagendo con tutta la famiglia come se non fosse affatto autistico.
In breve tempo Han- Ul fece molti progressi nelle relazioni con le persone che incontrava e questo grazie a Gyung Hee.
Ogni volta che penso alla storia di Gyung Hee mi ritorna in mente una frase che lessi un giorno sul sito della Holt Children services: “tutti i bambini sono felici se sono amati”, e le parole di Molly Holt – presidentessa del centro – “i bambini devono esser cresciuti in una famiglia e stabilire una relazione speciale con un adulto che ami il bambino.”
Spero vivamente che ogni bambino possa essere felice sentendosi amato e, soprattutto, che riesca a superare ogni difficoltà grazie a questo amore.