Il Venezuela agli occhi del mondo. Ieri ed oggi.

di Francesca

Come spesso accade, questa sera la mia carissima amica Odilia mi ha girato questo interessante articolo tradotto.
Mi limito a copiarlo ed incollarlo di seguito cogliendo l’occasione per ringraziarla come sempre moltissimo.

Finito un grosso lavoro che impegnava le mie serate e il mio tempo libero, torno a dedicarmi alla cronaca del mio Venezuela, proponendovi di volta in volta articoli tradotti che secondo me rendono molto più chiaro il dramma che vive il mio paese.

Con l’articolo che tradurrò a continuazione, vorrei farvi capire com’era il Venezuela negli ultimi 40 anni del secolo XX.

Sarà più facile capire il perché della perseveranza di un popolo, che non si rassegna a perdere la propria libertà e la propria identità di popolo democratico.

Vi prego di notare molte similitudini con situazioni e personaggi della storia contemporanea italiana.

Valutate il rischio che attraversa l’Italia in questo momento e fate una proiezione di quello che potrebbe diventare il futuro di questo paese, se ci si lascia trascinare dal sentimento di anti-politica e soprattutto, se ci si lascia affascinare dagli incantatori di serpenti che popolano il panorama politico italiano.
Meditate…

REIETTI
Di Paulina Gamus.
Tradotto da Odilia Quattrini

La prima volta che ho viaggiato a New York nel 1956, qualcuno mi domandò da dove venivo. Dal Venezuela risposi con un certo tono d’orgoglio e l’interlocutore volle sapere se conoscevo dei suoi famigliari che vivevano a Buenos Aires.

La prima volta che andai in Brasile nel 1962, quando un parrucchiere seppe la mia nazionalità mi domandò se il Venezuela era situata in Centro America. La sua ignoranza mi lasciò senza parole, non gli avevano mai insegnato a scuola che il Brasile e il Venezuela sono paesi limitrofi?

La prima volta che andai in Europa nel 1966, a me e alle mie sorelle fece orrore che la carta igienica nel nostro hotel di Parigi, fosse rappresentato da un patetico quadretto di carta di quelli che bisognava usarne una decina per compiere con la sua funzione. Nei ristoranti e bar si trovavano gli stessi quadretti, ma di una carta cerata incapace della benché minima possibilità di assorbimento.

Nelle Case di Cambio figurava -sotto al franco svizzero, la lira sterlina, il dollaro americano e quello canadese- il Bolivar, il nostro forte e duro Bolivar con un potere d’acquisto molto superiore a quello del franco francese, la peseta spagnola e la lira italiana.

Dal 1974 e fino al 18 febbraio del 1983 il nome del Venezuela fu sinonimo universale di ricchezza petrolifera.

Per le strade di Parigi, Roma o Madrid passeggiavano venezuelani le cui professioni erano camerieri, autisti di taxi, operai specializzati, parrucchieri, vale a dire, persone che se non fossero vissute nel Venezuela stracolmo di petrodollari, mai avrebbero potuto fare altro turismo che non fosse quello nazionale e questo, a mala pena.

E Miami? Quella fu una follia.
Noi venezuelani uscivamo dal paese con tre o quattro valige vuote che non bastavano mai per contenere tutti gli acquisti. A quei tempi, rientravamo con enormi peluche, scatole, borse e valigette che impedivano il libero transito dei passeggeri e dell’equipaggio di volo, nei corridoi degli aerei.
Fummo definiti i “tabaratos” per il fatto che arrivati nei negozi, appena sapevamo il prezzo di qualsiasi cosa, dicevamo “ta’ barato, dame dos” (costa poco, dammene due).

Noi venezuelani ci lamentavamo della rozzezza dei venezuelani; per quelli di un certo livello culturale e socioeconomico, risultava offensivo quell’ugualitarismo e soprattutto l’arroganza e volgarità che esibivano i dispendiosi nuovi ricchi.

Venerdì 18 febbraio, giustamente chiamato il Venerdì Nero, arrivò il duro risveglio.

Alla classe media capitò la stessa cosa che narra La Fiesta di Joan Manuel Serrat: tra i postumi della sbornia, tornò il povero alla sua povertà e il ricco alla sua ricchezza.

Il festino petrolifero aveva fatto dimenticare per alcuni anni chi fosse chi. Quel ritornoalla realtà fu il germe della anti-politica, i partiti e i suoi dirigenti erano i colpevoli della rovinosa caduta di una classe media professionale che viveva come i ricchi di altri paesi.

Una coppia di professori universitari che trascorrevano il loro anno sabbatico a Madrid in quei tempi di cuccagna, ricevettero a dicembre un assegno di diecimila dollari come bonifico di fine anno.
Quando il cassiere della banca domandò l’origine di quella piccola fortuna per gli schemi spagnoli del momento e seppe che i beneficiari erano soltanto professori, disse loro offeso di non prenderlo in giro.

Furono (e sono) giustamente gli educatori coloro che dopo il Venerdì Nero, scesero al livello più basso nella scala di salari di tutto il continente, con eccezione forse di Cuba e Haiti.

Nel 1988, oltre il 50% degli elettori venezuelani diede il proprio voto a Carlos Andrés Pérez con la speranza del ritorno alla Venezuela saudita che lui stesso aveva inaugurato nel 1974.

Ma il Caracazo e la terapia di shock applicata all’economia, segnarono il crollo del sistema democratico.

Il nome del Venezuela apparve nei mezzi di comunicazione internazionali, associato ai saccheggi e ai morti del Caracazo del febbraio del 1989, e ai falliti colpi militari di Chávez in febbraio del 1992 e di un’altro gruppo di avventurieri in novembre di quello stesso anno.

L’arrivo di Hugo Chávez al potere, a febbraio del 1999, fu come un cataclisma che fece del Venezuela un paese tra i più popolari.

Quell’ ex-golpista che era riuscito a ottenere il potere attraverso i voti, iniziò la distruzione di tutte le istituzioni garanti della democrazia e se ne fece alcune a propria misura.

Questo, non sarebbe stato notizia se l’ ex-golpista non avesse deciso di trasformarsi nel enfant terrible del tropicalismo caraibico.

Quello che visitò Saddam Hussein di quell’Iraq sottoposto a quarantena dalla comunità internazionale, quello che baciò la regina Sofia di Spagna, diede palmatine sulla spalla all’Imperatore del Giappone e che quasi abbracciò e baciò la regina Elisabetta d’Inghilterra, se non fosse stato impedito dal rapido intervento di una delle sue guardie. Quello che impazzì con la rendita petrolifera più alta della storia del Venezuela e iniziò a distribuire soldi a mani piene in giro per il mondo, quello che si trasformò nel supporto finanziario della Cuba castrocomunista in primo luogo e di altri paesi d’America, quello che espropriava aziende multinazionali senza indennizzarle, quello che si autoproclamò presidente dei poveri.

Per i venezuelani iniziò a essere una tortura viaggiare in qualsiasi paese e trovarsi tassisti, camerieri o dipendenti di negozi che, conoscendo la nostra nazionalità, parlavano di Chávez come del redentore dei poveri del mondo.

Allora morì Chávez e fu, come corrispondeva al personaggio, la fine di una telenovela.

Prima di morire aveva nominato successore Nicolás Maduro a cui avrebbe lasciato in eredità un paese rovinato, con processi internazionali per migliaia di milioni di dollari destinato a perdere; con le linee aeree che abbandonano il mercato venezuelano per un debito mai saldato di oltre 4000 milioni di dollari; con tutte le industrie di alimenti e medicinali sull’orlo della chiusura per debiti con creditori dell’Estero che non possono onorare; con le assemblatrici di automobili che mettono fine alle proprie operazioni; con l’istituto nazionale delle poste -IPOSTEL- che annuncia di sospendere i propri invii all’estero perché sull’orlo del collasso.

La situazione ricorda un aneddoto della crisi economica spagnola della metà del secolo XIX: un creditore disperato per riscuotere il debito che aveva il governo nei suoi confronti, disse a Ramón Maria Narváez, Presidente del Consiglio dei Ministri:

– La Spagna conta uomini illustri, come Cristoforo Colombo, che scoprì l’America. Come mai nessuno del governo scopre il modo di pagarci?

Narváez gli rispose:

– Guardi, Colombo scoprì l’America perché c’era un’America da scoprire; noi non possiamo scoprire soldi perché non ce ne sono.

Non sono i debiti impagabili gli unici che ci rendono conosciutissimi: il Venezuela si trova ad essere tra i paesi più corrotti del mondo e fra i primi per mortalità per violenza criminale.

Abbiamo saputo che l’Organizzazione mondiale della Salute ci colloca fra i primi consumatori di alcool e che il narcotraffico colombiano ha spostato le proprie operazioni al nostro paese.

Quest’ultima cosa succede nella massima impunità, mentre i corpi di polizia, la Guardia Nazionale e i paramilitari al servizio del governo, sparano contro studenti e vicini che protestano, li ammazzano, spiano, sbattono in galera, massacrano di botte e torturano.

Uno degli elogi che persino oppositori facevano a Hugo Chávez, fu che lui riuscì a collocare il nome del Venezuela nella mappa mondiale.

Veramente, ringraziamolo. Grazie a questo suo sforzo, oggi fa piacere essere venezuelano… 

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