Capitolo 3: viaggio all’interno della pandemia di coronavirus

di Filippo

Cos’è un’epidemia

L’ultima volta ci siamo lasciati con la corsa contro il tempo per identificare i primi casi di polmonite di Covid-19 nelle megalopoli cinesi (leggi qui l’articolo precedente sul coronavirus).

pandemia

Ma quand’è che una serie di eventi, più o meno sporadici, si trasforma in un’epidemia?

Un’ epidemia ha inizio quando un virus che circola nella popolazione provoca un numero di casi di malattia più alto di quello che normalmente ci si aspetta.

È a questo punto che gli epidemiologi entrano in azione.

Quando si ha a che fare con un virus fino a questo momento sconosciuto, come è stato per SARS-CoV-2, la sfida più difficile sta nel cercare di capire come questo si diffonda e quali siano le possibili strategie per arginarlo.

L’immunità è la nostra arma migliore

La scienza ci hanno fornito nel corso degli anni le contromisure necessarie per essere il più preparati possibile nei confronti di una epidemia: una su tutte, la vaccinazione.

Per alcune malattie oggi abbiamo infatti a disposizione un vaccino.

Se somministrato a un certo numero di persone, il vaccino è in grado di rendere immune una fetta della popolazione, mettendo i bastoni tra le ruote alla diffusione del virus.

Allo stesso modo sappiamo che dopo essere guariti da alcune malattie si acquisisce naturalmente una immunità protettiva nei confronti di successive re-infezioni da parte dello stesso virus.

Quindi la presenza in una popolazione di individui vaccinati o già immuni rallenta, fino a spegnere, eventuali epidemie.

Di fronte a un virus nuovo siamo tutti uguali

Al contrario, quando si ha a che fare con un nuovo virus, non esistono vaccini né persone che si sono ammalate in precedenza: siamo quindi tutti uguali e suscettibili allo stesso modo all’infezione.

Quando ciò accade possiamo fare affidamento solo sulle capacità del nostro organismo di rispondere al virus, grazie alla risposta immunitaria intrinseca di ognuno di noi.

Questo è successo in passato con i virus del vaiolo e della poliomielite, per esempio, prima che la vaccinazione di massa eradicasse queste malattie.

E accade ancora oggi quando un virus sconosciuto, come SARS-CoV-2 salta dall’animale all’uomo.

In questo caso l’epidemia sarà come un’ondata apparentemente inarrestabile e può trasformarsi, come infatti è successo, in una pandemia, cioè una epidemia diffusa su larga scala a livello globale.

La matematica ci aiuta a descrivere le epidemie

Per descrivere e quindi capire come si comporterà questa ondata, gli epidemiologi ricorrono a una grandezza matematica conosciuta come “erre zero” (R0, si pronuncia r-nought in inglese).

L’ R0 indica il numero medio di individui sani che una persona infetta può contagiare.

Ogni virus ha un R0 specifico, quello di SARS-Cov-2 è stato stimato essere circa 2,5.

Non dimentichiamoci però alcuni importanti concetti: innanzitutto questa grandezza si utilizza per descrivere come si comporta un virus nelle prime fasi dell’epidemia quando tutti gli individui sono suscettibili e l’onda può muoversi indisturbata.

Un po’ come quando si lancia un sasso nel mezzo di uno stagno – il sasso rappresenta il cosiddetto “paziente zero”.

Inoltre, l’R0 è un numero medio, quindi la maggior parte degli infetti trasmetterà il coronavirus a due o tre persone, ma esistono anche individui in grado di trasmetterlo a cinque persone e altri che non infetteranno nessuno.

Un’epidemia è come l’onda che si propaga intorno a un sasso gettato in uno stagno

Pensiamo ancora al nostro paziente zero come a un sasso gettato nell’acqua: sulla prima circonferenza intorno al punto di caduta si troveranno le “due persone e mezzo” contagiate dal paziente zero, sulla seconda circonferenza le persone saranno circa sei e così via.

Il tempo col quale si avvicendano le onde successive corrisponde a quello di incubazione della malattia, cioè ai giorni che trascorrono dal momento in cui chi è stato contagiato dalle persone che si trovano sulla circonferenza più interna diventa a sua volta infettivo e contagia altre persone, formando una nuova circonferenza.

Per Covid-19 questo tempo è di circa una settimana.

Vediamo dunque cosa è successo quando il primo individuo inconsapevolmente infetto dal coronavirus è atterrato in Italia con un volo proveniente, forse, dalla Cina.

Dopo un mese dall’arrivo del paziente zero (stiamo guardando sulla quinta circonferenza) il numero di contagi è pari a circa 100 persone, mentre dopo poco più di due mesi (decima circonferenza) questo numero è già salito a 9500!

Capire il passato per prevedere il futuro

Naturalmente lo scenario appena descritto parte dal presupposto che il coronavirus sia stato portato in Italia da una sola persona.

Ma è andata davvero così?

Ad oggi non lo sappiamo con certezza, ma è proprio questo che gli epidemiologi, all’inizio di una epidemia, cercano di capire.

Il loro lavoro è quindi da un lato rivolto al passato: è come se schiacciassero il tasto rewind e provassero a contare le persone sulle varie circonferenze, ma all’incontrario.

In realtà non si tratta di un semplice conteggio, ma di un lavoro di squadra estremamente coordinato, nel quale intervengono figure con competenze differenti: per esempio medici che, sulla base dei sintomi riportati da una persona possono capire se si tratti di un’infezione causata dal virus di nostro interesse oppure no, e virologi che a seconda del tipo di virus in questione sapranno come questo si comporta all’interno di una singola persona infetta.

Modellare le epidemie per contrastarle

Attraverso questo calcolo viene creato un modello di epidemia, che sarà utile per poterne prevedere l’andamento futuro e identificare le contromisure necessarie per poterla arginare.

Ricordate l’R0?

Questo numero viene integrato con altri parametri che tengono in considerazione anche le dinamiche di movimento delle persone all’interno di una popolazione e le capacità del sistema sanitario.

In questo modo si cerca di prevedere l’andamento futuro dell’epidemia e di stare un passo avanti al virus.

Proprio grazie a questi calcoli possiamo adesso comprendere le misure di “distanziamento sociale” che stiamo affrontando.

Forse ci sembrano particolarmente restrittive se non addirittura eccessive.

Tuttavia esse rappresentano l’unico modo possibile per rallentare la diffusione del virus.

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