L’arrivo di mio padre sull’isola:
“El Hombre con El Jeap Azul” ovvero l’uomo con la jeep azzurra.
Una volta arrivata sull’isola mia madre aveva iniziato a frequentare un gruppetto di ragazzi europei, a Margarita per diversi motivi, e a vedersi con assiduitá con un francese, tale François Laurent, che si trovava lí come tanti altri in cerca di business e di fortuna. Per lavoro aveva cominciato a viaggiare molto tra Italia e Stati Uniti, mentre mio fratello cresceva sull’isola.
Nei fine settimana si andava al mare, spesso a Playa el Agua, che con le file di ombrelloni colorati e l’infinita successione di ristorantini di oggi allora aveva ben poco. La spiaggia era una lunghissima quanto deserta striscia di sabbia finissima e dorata, delimitata da un lato dal mare e dall’altro da fitte file di palme da cocco molto alte.Trovandosi fuori mano rispetto a Porlamar ed essendo raggiungibile solo attraverso strade sterrate che si tuffavano nella vegetazione, raramente vi si incontrava qualcuno, se non qualche turista più avventuroso o qualche locale. Così che si poteva stare in pace immersi nella natura ad osservare il mare ondoso per ore, incontrando solo qualche pellicano e qualche lancia colorata all’alba o al tramonto, uscire o rientrare dalla battuta di pesca quotidiana. Mia madre aveva fatto amicizia con i pescatori margatiteñi dei piccoli pescherecci che la domenica salpavano da Juan Griego e Manzanillo con le prime luci dell’alba.
Mio fratello Gianluca trascorse molte giornate cullato dalle onde dell’oceano, sguazzando nella vasca delle esche vive sotto al sole cocente dell’equatore. Credo che abbia deciso allora che sarebbe diventato un subacqueo e non si sarebbe mai allontanato troppo dal mare.
La sera sull’isola si usciva tra europei, frequentando qualche discoteca o baretto sulla spiaggia a Pampatar, oppure si girava per ejecutivos, luoghi, per lo più liquorerie gastronomie e negozietti di delicatessen, dove venivano ogni sera presentati nuovi whisky o liquori. L’isola era ed è tuttora porto franco, ancora oggi meta di shopping di molti venezuelani e a quei tempi gli ejecutivos erano molto diffusi. Ubriacarsi ubriacarsi ubriacarsi. Spesso non si faceva molto di più. E mia madre (ai tempi) era astemia.
Facevano parte del gruppo che frequentava, oltre al francese, due fratelli toscani che avevano aperto un grande Bodegon di delicatessen sull’avenida Santiago Mariño, Augusta e Ida, la prima romana e la seconda di Rimini, e altri ragazzi che come loro lavoravano nell’hotel e nei negozi dei miei nonni. Un giorno, durante una delle sue trasferte in Italia, mia madre aveva saputo telefonicamente da Ida ed Augusta dell’arrivo sull’isola del “milanese“.
Pare che ne parlarono molto molto bene tanto che lei disse loro:”ferme lí che adesso arrivo io!”.
Il “milanese” era un trentaseienne moro, spallato, alto ed interessante che, sempre secondo quanto le riportarono, stava giá creando un certo scompiglio sull’isola. Era arrivato a Margarita per conto della Croff, allora marchio forte del Gruppo Rinascente specializzato in arredamento e tessili per la casa, con la finalitá di aprire ed avviare un grosso punto vendita, il Centro Casa Caribe, a pochi metri dall’Hotel For You dei miei nonni.
L’isola allora era ancora poco frequentata, specialmente da parte di europei e le notizie viaggiavano velocemente di bocca in bocca. Fabrizio era atterrato sull’isola con i suoi due pastori tedeschi Tex e Ulla al seguito, finendo in una fatiscente villetta a Porlamar affittata da conoscenti locali e, appena arrivato, aveva acquistato per pochi soldi una piccola Toyota celeste targata 666, diventando nel giro di pochi giorni per tutti solo “el hombre con el jeap azul”.
Lui e mia madre si erano incontrati diverse volte fuori da locali e discoteche senza rivolgersi la parola anche se pare lui non facesse mai mancare lunghi sguardi. Era quel genere di uomo che conquista dal primo istante. Non lo dico da nostalgica o in pieno complesso di Edipo. Era realmente un uomo simpatico e gentile, a suo agio in mezzo alla gente, calamita per le donne con quella sua aria genuina, sempre galante e dalla battuta pronta.Non era , ecco, il tipico bravo ragazzo. Ma era un sognatore, un idealista, uno che pur essendo molto socievole amava la solitudine e i suoi viaggi intorno al mondo. Ex attore di fortunati fotoromanzi, fatti in gioventù per tirare su qualche lira, ex istruttore dei parà della Folgore, era adesso un dirigente della Croff, con una professione avviata, una parlantina ed una faccia tosta fuori dalla norma, evidenti influenze emiliane ereditate da suo padre, e la consapevolezza di piacere alle donne. Quando dico che creò scompiglio sull’isola non lo dico così per dire.
Dopo pochissimi mesi che si trovava in Venezuela, infatti, il console italiano lo aveva chiamato chiedendogli di darsi una raddrizzata, perché con la sua condotta stava continuando a pestare i piedi a diversi signorotti italo-venezuelani locali. In parole povere stava infastidendo moltissimi mariti, ma deliziandone le mogli.
Tuttavia, nonostante queste premesse, era anche un uomo molto romantico che mi ha ripetuto fino alla fine dei suoi giorni di divertirmi sempre nella vita e di farlo senza rimpianti, ma anche di innamorarmi perdutamente e a quel punto di darmi con cuore, anima e lealtà. E così di mia madre si innamorò perdutamente dopo anni di precedenti relazioni poco impegnate e con lei di Margarita e del Venezuela. Dopo una serie di incontri tutto sommato infruttuosi una mattina si erano incrociati alla Panederia 4 de Mayo, dove tutta Porlamar si ritrovava a fare colazione sotto il torrido sole del mattino.
Tra un marroncito, un guayoyo, un pastel de queso ed uno di manzana iniziavano le giornate margariteñe, sfogliando El Sol de Margarita, El Universal e altri quotidiani locali.
Quella mattina di fine marzo mia madre indossava, sue testuali parole: “un abito di lino bianco con la coulisse in vita, dei sandali di cuoio e…peli a non finire”. So che può sembrare un dettaglio trascurabile, ma per me questo è un particolare carico di significato. Per una vita mia madre ha lavorato su di me per rendermi un essere sicuro ed insegnarmi che ogni tanto l’autoironia non può che aiutare. Ogni volta che da adolescente e da giovanissima mi sentivo in difetto o complessata da qualcosa o avevo timidezze ovvie date dalla giovane età, lei mi ricordava questo aneddoto. L’importanza di distogliere l’attenzione e di veicolare il pensiero altrui.
Dopo mesi di sguardi languidi si ritrovava occhi negli occhi con lui, proprio il giorno in cui avrebbe avuto l’estetista la sera stessa. Il suo “a me gli occhi” pare funzionò! Fabrizio tagliò nel giro di pochissimi giorni fuori dalla vita di mia madre il francese che, un po’ scocciato, lasciò poche settimane dopo l’isola per trasferirsi in Martinica.
Iniziarono a frequentarsi regolarmente, anche per la vicinanza tra il For You ed il Centro Casa Caribe. Mio fratello ci era rimasto piuttosto male perchè al francese si era tutto sommato affezionato e non aveva visto di buon occhio da subito la recente frequentazione di nostra madre. Tuttavia i tre stavano tanto insieme e piano piano impararono a conoscersi meglio e a volersi bene.
Pur avendo un’avversione dichiarata per Milano ed i lombardi in generale (pare che il fratello del mio bisnonno materno si fosse fatto mettere in mutande proprio da una donna di Lomazzo), a mia nonna Lydia, da bilancia esteta qual era, non dispiaceva affatto il milanese, seppur non trovando di buon gusto la loro convivenza lampo, senza ufficializzazioni.
Nel frattempo i miei nonni avevano appena acquistato un grosso terreno edificabile con l’ambiziosa idea di ricavarne un insieme di appartamenti destinati alla formula degli aparthotel, con negozi e Casinò nelle zone comuni. Mia zia Laura, che nel mentre era diventata un architetto a Roma, iniziò allora ad occuparsi del progetto di quello che sarebbe stato il secondo hotel dei miei nonni, terminato ed avviato tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80.
Dopo circa un mese che uscivano insieme mio padre lasciò casa sua e mia madre e Luca l’appartamento interno al For You e si trasferirono a Quinta Claudia, una bella villetta bianca con un grande giardino nell’urbanizzazione di Jorge Coll, non lontana da Pampatar. Dopo circa cinque mesi insieme mio padre chiese a mia madre di sposarlo. Il guaio è che lei sposata lo era già perché aveva abbandonato Roma portando con sè mio fratello, senza però aver avviato le pratiche per la separazione.Restavano solo due possibilità per farlo senza troppi intoppi burocratici: Las Vegas o Santo Domingo. Fortuna vuole che scelsero la seconda meta, prenotarono una stanza in un bell’albergo sul mare e partirono con mia nonna al seguito che avrebbe dovuto fare da testimone. E così…io, mammeta e tu alla volta di Santo Domingo!